Al momento stai visualizzando Alta Valsesia – Le Peonie della Val Sorba e Alpe Toso

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Descrizione

Quota iniziale : 927 m
Quota finale: 1649 m
Dislivello: 798 m comprese le perdite di quota
Distanza totale A/R: 14,70 km
Tempo: 4:45 h escluse le soste ma compresa la visita alle peonie

Piacevole passeggiata in Val Sorba, una valle laterale della Valsesia, per andare a vedere una colonia di peonie selvatiche, unica in Valsesia.

Questa valle è conosciuta anche con il nome di Valle dei Tremendi. L’origine di questo pittoresco nome non è chiara, alcuni sostengono che si faccia risalire al carattere forte degli abitanti che lottarono contro le avversità della natura in una valle chiusa e fredda e che, secondo la descrizione lasciata dal vescovo Carlo Bascapè, “tremendi” avesse un’accezione positiva di gente dura ed ingegnosa a causa dell’isolamento.

Altri sono propensi a pensare che fosse perché questa valle offrì accoglienza all’eretico Fra Dolcino e ai suoi seguaci che giunsero in Valsesia intorno al 1304 e si rifugiarono al Pian dei Gazzari sulla sommità dell’imponente parete Calva.

Un’ultima ipotesi, più recente, fa riferimento alla presenza nella valle tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento del bandito Pietro Bangher, nato nel 1850 ed originario del Trentino austro-ungarico. A lui furono attribuiti episodi criminali di ogni genere tanto da essere imprigionato e rispedito alla sua terra d’origine. Tornò durante la Prima guerra mondiale e nuovamente gli vennero attribuite nuove malefatte, ma ormai era molto provato e presto se ne persero le tracce.

L’itinerario parte proprio da Rassa un piccolo villaggio che sorge alla confluenza di due valli la Val Sorba nota appunto per le vicende di Fra Dolcino e la Val Gronda nota per gli insediamenti Walser.

L’itinerario non presenta nessuna difficoltà tecnica e si snoda su sentieri ben segnalati, anche se per lo più privi di copertura cellulare (TIM), ma la lunghezza superiore ai 14 chilometri lo rendono adatto solo ai ragazzini con un discreto allenamento. Unico punto di attenzione è proprio la deviazione per andare a vedere la colonia di peonie selvatiche che si trova fuori sentiero, in alto sopra una pietraia non troppo stabile e piuttosto ripida. Questo tratto non è adatto ai più piccoli e meno esperti ed è consigliabile solo ai più grandicelli con esperienza su questo tipo di terreno.

Lasciata l’auto nel comodo parcheggio gratuito alle porte di Rassa, proprio in vista della celebre Parete Calva nota per le vicende di Fra Dolcino, superiamo il ponte sul torrente Sorba svoltando subito a sinistra per imboccare la ripida strada cementata, sentiero 251, che sale verso l’Alpe Toso che danno a 2 ore.

La strada, chiusa al traffico non autorizzato, sale con pendenza costante fino ad arrivare dopo circa dieci minuti ad un piccolo parcheggio. Abbandoniamo la strada che prosegue sulla destra dalla quale ritorneremo e proseguiamo imboccando la mulattiera al termine del parcheggio che entra nel bosco. Dopo altri 5-10 minuti arriviamo all’Alpe Campello dove si trova anche il punto di ristoro “Heidi”.

Proseguiamo dritto seguendo le indicazioni entrando e uscendo dal bosco tra splendide fioriture di ginestre e maggiociondoli.

Dopo ulteriori venti minuti arriviamo all’Alpe Sorba dove un artista locale ha esposto moltissime sculture in legno. Attraversiamo l’alpe e riprendiamo il cammino lasciando sulla destra la Fontana dei Rossi luogo dove, secondo la leggenda, è stato ritrovato illeso il bimbo Pietro Fassola, futuro capo della Milizia Valsesiana, rapido da un lupo nel 1333.

Poco dopo giungiamo ad un bivio dove scendendo a sinistra si arriva al Ponte della Prabella sul torrente Sorba mentre noi dobbiamo proseguire dritto rimanendo sul sentiero 251.

Entrati nuovamente nel bosco ritroviamo una carbonera e un paio di forni per la calce. Dopo una ventina di minuti arriviamo ad una piccola radura con un altro ponticello facente parte della Ciclo-Pedonale Rassa Meggiana, ignoriamo la deviazione e proseguiamo sempre su sentiero che sale verso destra.

In pochi minuti siamo ai ruderi dell’Alpe Il Dosso letteralmente invasa dalla fioritura del cerfoglio selvatico. Qui un adesivo su una palina ci ricorda che stiamo percorrendo anche un tratto del cammino di Oropa Valsesiano.

Lasciata l’alpe entriamo in un vero e proprio giardino dove spiccano i rododendri e i gigli di montagna. Proseguendo sempre in salita superiamo l’Alpe Massucco nascosta da una grande roccia e poco dopo arriviamo ad una stupenda scultura di marmo con la scritta “La natura risveglia i sensi” che ci ricorda che qui era presente una cava di marmo pregiato ma abbandonata in quanto disagevole.

Cinque minuti dopo la scultura si trova la deviazione per le peonie proprio ai piedi di una pietraia che bisogna risalire per un centinaio di metri o poco più seguendo degli ometti. (N45° 43.771′ E7° 58.463′ coordinate indicative della deviazione)

Questo è un tratto non adatto ai bambini poiché abbastanza ripido e molte pietre sono instabili rendendo il percorso insidioso soprattutto in discesa, meglio affrontarlo solo coi più grandi ed esperti. La salita comunque vale la fatica e il tempo speso, salire, gironzolare tra le fioriture e poi scendere porta via quasi un’oretta.

Il periodo di fioritura delle peonie, a seconda degli anni, va da fine maggio alle prime due settimane di giugno. Ci sono diversi gruppi di fiori sparsi tra i sassi e si possono vedere gironzolando un po’ facendo però sempre molta attenzione.

Ritornati sul sentiero proseguiamo verso l’Alpe Toso che ormai è a meno di mezz’ora di piacevole salita. Giunti all’alpe troviamo il punto di appoggio del Cai di Varallo oltre che altri baitelli abbandonati.

Proseguiamo fino ad incontrare il bivio per la Bocchetta del Croso attraverso la quale proseguirebbe il cammino di Oropa Valsesiano ma noi ci fermiamo qui per il pranzo con una vista privilegiata sulla testa della valle e la zona denominata La Molera per la presenza di pietre grigio-scuro contenenti corindone amorfo, minerale usato per ricavare appunto le mole.

Per la discesa seguiamo lo stesso itinerario della salita fino all’Alpe Il Dosso superata la quale incontriamo un bivio, a destra prosegue il sentiero fatto in salita mentre a sinistra si stacca una strada sterrata che scende verso valle parallela al sentiero ma un po’ più in alto.

Per velocizzare la discesa e per cambiare un po’ itinerario decidiamo di scendere percorrendo la sterrata che di tanto in tanto interseca una tagliata che permetterebbe di ritornare sul sentiero ma che noi ignoriamo.  Velocemente superiamo l’Alpe Sorba dall’alto e anche l’alpe Campello sovrastata da un’imponente frana. Subito dopo la strada si ricongiunge con il percorso del mattino che in circa un chilometro ci riporta all’auto.

 

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N 45.768645°,  E 8.015606°

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Leggende storia e curiosità

Fra Dolcino

Di Dolcino da Novara o come più spesso viene indicato Fra Dolcino non si hanno notizie certe. Si ipotizza che fosse nato nell’intorno del 1260 a prato Sesia o comunque nell’Alto Novarese. Nel 1291 entra nel movimento degli Apostoli fondato da Gerardo Segarelli. È dubbia anche la definizione di “frate”, con cui spesso Dolcino viene definito, in quanto non risulta che abbia mai pronunciato i voti religiosi, bensì sembra derivare dal fatto che spesso si autodefiniva “fratello” all’interno del movimento ereticale.
Gli Apostoli, in sospetto di eresia e già condannati da papa Onorio IV nel 1286, furono repressi dalla Chiesa cattolica e Segarelli fu arso sul rogo il 18 luglio 1300.
La predicazione di Dolcino si svolse anzitutto nella zona del lago di Garda e nei dintorni di Trento dove nel 1303, conobbe la giovane Margherita Boninsegna che divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione.
Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia. Qui, a causa delle severe condizioni di vita dei valligiani, le promesse di riscatto dei dolciniani furono accolte positivamente.
Approfittando del sostegno armato offerto da Matteo Visconti, nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente la Valsesia e di farne una sorta di territorio franco dove realizzare concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione. Dolcino si stanziò per un lungo periodo nella località denominata Parete Calva situata presso Rassa.
Da qui, il 10 marzo 1306, tutti i seguaci, abbandonati da Visconti, si concentrarono sul Monte Rubello sopra Trivero (poco distante dal Bocchetto di Sessera, nel Biellese), nella vana attesa che le profezie millenaristiche proclamate da Dolcino si realizzassero.
La Crociata contro Dolcino fu bandita dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il beneplacito di papa Clemente V nel 1306.
Nella settimana Santa (23 marzo) del 1307, le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino, dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato. Tutti i dolciniani, comunque, vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, il luogotenente Longino da Bergamo e Margherita.
Margherita e Longino furono arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, il corso d’acqua che scorre vicino a Biella, su un isolotto raggiunto dal “Ponte della Maddalena”.
Dolcino fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne torturato a più riprese con tenaglie arroventate, infine fu issato sul rogo e arso vivo di fronte alla Basilica di Sant’Andrea.
Il mito di Dolcino fu più volte ripreso in letteratura e non solo.
Dante ricorda Dolcino nella Divina Commedia con questi versi:

«Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve.»
(Inferno XXVIII, 55-60)

In tempi più moderni Dario Fo e Franca Rame nel 1977 fecero tornare in auge, con la commedia teatrale Mistero Buffo, nella giullarata di Bonifacio VIII, la leggenda di Dolcino e del suo maestro, visti come precursori del socialismo.
Nel 1980 Umberto Eco inserì nella trama del celebre romanzo Il nome della rosa due personaggi (il cellario Remigio da Varagine e il suo aiutante Salvatore) che vengono giudicati (e infine condannati al rogo) per il loro passato di seguaci dolciniani.